PANEM ET CIRCENSES
Chiudere i teatri vuol
dire limitare e condizionare gravemente la libertà espressiva, artistica e
spirituale. Rimane solo, e non è poco,
la libertà di pensiero, anche se si preferisce tacere per lo più per timore di
passare da riduzionisti o da negazionisti, e tanti lo fanno per non perdere
l’accattivante promessa dei “ristori” a fondo perduto, la cui allettante
entità, in molti casi, fa gola, essendo ben superiore a quanto si guadagnerebbe
in un normale periodo lavorativo. Ma un conto è lavorare con dignità ricavando
guadagni dal proprio lavoro e un conto è ricevere sussidi a fondo perduto
vivendo sulle spalle altrui e incrementando ulteriormente il già cospicuo
debito pubblico a carico della collettività. In realtà siamo tutti più o meno
consapevoli che l’Italia è in ginocchio. Ciò che preoccupa tuttavia è che non
si intravede alcun criterio logico nelle disposizioni governative volte a
salvaguardare, accomunandoli indiscriminatamente, sport lucrosi, luoghi di
culto e musei, mentre si colpiscono senza alcun motivo fondante teatri e cinema
rivelatisi fino a oggi, tranne rare eccezioni, spazi sicuri, privi di focolai
epidemiologici. I teatri si sono messi in regola rispettando le normative
previste con rigorosa e scrupolosa pignoleria. Le regole o ci sono o non ci
sono: se vengono rispettate, se la sanificazione viene applicata con rigore e
le distanze rispettate, non è accettabile veder chiudere i battenti senza alcun
motivo pertinente. Il ministro Franceschini, noto per aver partorito questa
estate la brillante idea di incentivare la “movida turistica”, principale causa
scatenante l’attuale incontrollabile situazione di emergenza, ci accusa da
maestrino di non aver ben compreso la gravità della situazione, ma forse è
proprio a lui che sta sfuggendo di mano la capacità di leggere realisticamente
lo stato attuale delle cose. La rabbia, come chiunque può constatare, sta
montando, parimenti allo stato confusionale di chi ci governa, privo, come
dimostra d’essere, di una lungimirante visione prospettica del futuro,
sull’onda di decisioni emotive ed eclatanti, non avvalorate da evidenze
scientifiche. Ci auguriamo che le voci di dissenso vengano ascoltate prima che
sia troppo tardi.
Il
teatro è per definizione un evento comunitario, una esperienza di convivenza
catartica, spirituale ed emozionale che richiede la condivisione di uno spazio
fisico dal vivo. Se non ci sono questi requisiti non è più teatro. La nobile
difesa dell’apertura dei teatri va conseguita come principale obiettivo
strategico. Il teatro virtuale praticato in occasione del precedente lockdown è
un triste escamotage ammantato di idee pseudo-rivoluzionarie, quando invece
rimane un trucco, un esercizio di mero illusionismo per tacitare le proprie e
altrui coscienze, una trovata di facciata, un comodo e placido espediente
compiacente verso le istituzioni.
A volte persino tacere può
essere il modo più efficace di comunicazione.
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